Secondo appuntamento de "I Gonzaga alle Terme", ciclo di eventi organizzati per celebrare i 500 anni dal soggiorno a Caldiero del marchese Federico II Gonzaga, per curare una fastidiosa ritenzione idrica nelle celebri acque termali. Il marchese era figlio di Francesco II Gonzaga e di Isabella d'Este, fu valoroso uomo d'armi (celebrato persino dall'Ariosto ne L'Orlando furioso) e promosse la cultura e le arti; fu lui a commissionare la costruzione di Palazzo Te a Mantova. Dopo l'introduzione storica a cura del dott. Fabio Piubelli è stata la volta del maestro Gian Paolo Dal Dosso che ha parlato della musica alla corte dei Gonzaga svelando aneddoti curiosi ma anche aprendo un mondo al folto uditorio accorso alla Vasca Cavalla, raccontando anche il meraviglioso universo della musica rinascimentale sacra e profana illustrando i generi della Messa, del Mottetto e del Madrigale. A sostegno della parte storica e divulgativa ci sono state anche le esecuzioni musicali dell'Ensemble Vocale di Caldiero, diretto dallo stesso Dal Dosso, e de Le Corde della Chimera, formazione strumentale di musica antica con la voce solista di Miriam Urbani. Un bel modo di passare la serata tra arte, storia e musica in una location davvero suggestiva.
Daniela Malinverno
"Nabucco" secondo Poda
Verona, 14 giugno 2025
Il Nabucco atomico di Stefano Poda inaugura il 102° Arena Opera Festival con le stesse innovazioni registiche già viste in Aida del 2023. L’idea dell’atomo diviso in due particelle che si respingono, rappresentanti di due popoli in lotta (ebrei e babilonesi) rappresenta anche la metafora della ricerca scientifica che se non finalizzata al bene comune può portare solo all’annientamento del genere umano. Tale è anche l’effetto voluto al momento dell’autoproclamazione a Dio da parte di Nabucco, punita dall’intervento divino; il fungo atomico esplode su capo del vanitoso re babilonese ma non è il solo elemento di questa messa in scena. I rapidi movimenti delle masse sul palcoscenico sono l’allegoria dell’energia cinetica sprigionata dalla fissione nucleare in un moto perpetuo e mutevole. Forse per mantenere un’unità di intenti, anche per il Nabucco areniano Poda accentra su di sé tutte le incombenze dell’allestimento, firmando regìa, scene, costumi, luci e coreografie. La scena, scarna, vede due semisfere divise al centro da una lunga scalinata in cima alla quale una clessidra con la scritta Vanitas ammonisce l’umanità a non cadere nella tentazione di dominare il tempo, che regola la nostra vita. Di tutte queste allegorie però non si riesce a comprendere granché, con mimi, ballerini, figuranti e coristi che si mescolano sul palco, pure distinti dai colori dei costumi ma le cui azioni spesso confondono lo spettatore. Uno spettacolo godibile per chi ama effetti di luce, contrasti cromatici e di colore ma disorienta chi l’opera la conosce e che stenta a riconoscervi le didascalie del libretto. Di tutt’altra fattura il versante musicale con uno straordinario Amartushvin Enkhbat nel ruolo del titolo, che sfoggia una linea di canto morbida e di rara precisione, un fraseggio limpido unito ad un’ottima dizione della lingua italiana. Non da meno l’Abigaille di Maria José Siri che svela con efficacia i due lati umani della schiava, quello perfido ed arrivista e quello fragile della donna smarrita che vuole farsi accettare dal padre. Quello che forse è il motore dell’azione, il pontefice Zaccaria, trova in Alexander Vinogradov un paladino vocale di tutto rispetto il cui paterno afflato si sposa ad una fierezza vocale che infonde al personaggio tutta la sua dignità di strenuo difensore d’Israele. Pur non avendo una grande parte, Gaetano Salas è un Ismaele che convince, sfoggiando un bello strumento vocale anche nelle poche pagine a sua disposizione. Il resto del cast annovera Francesca Di Sauro, buona Fenena, Gabriele Sagona (sacerdote di Belo), Matteo Macchioni (Abdallo) ed Elisabetta Zizzo (Anna), adeguati ai loro ruoli. Pinchas Steinberg tiene saldamente in mano la direzione musicale con tempi comodi e distesi, funzionali all’accompagnamento e perciò adatti al canto, assecondato in questo dall’ottima Orchestra della Fondazione Arena. Il coro, pur nella sua bravura, è apparso condizionato dalla messa in scena, non sempre compatto tra le sezioni e soprattutto privo di quel coinvolgimento emotivo che in altri allestimenti infiammava l’anfiteatro veronese; emblematica è, a tal proposito, la mancata tradizionale richiesta di bis in Va’ pensiero. Pubblico numeroso, con applausi a scena aperta a tutti i protagonisti. Repliche fino al 5 settembre. (Foto Ennevi)
Daniela Malinverno
"Elektra" di Strauss
Nel 1909 andava in scena l'atto unico che Richard Strauss e il librettista Hugo von Hoffmannsthal ricavarono dall'omonima tragedia di Sofocle; titolo non di corrente esecuzione a Verona, vanta comunque un precedente al Filarmonico nel 2003. La vicenda delle sorelle Elektra e Crisotemi, ciascuna con i propri dubbi, speranze ed aspettative, contrapposte alla madre Clitennestra è un caleidoscopio emotivo segnato da inquietudini, dubbi e rivendicazioni. Nella lettura del regista Yamal das Irmich è spostata nel periodo della Repubblica di Weimar con scene e situazioni ispirate al film di Luchino Visconti La caduta degli dèi (1969). I toni borghesi sono sostenuti dalle scenografie di Alessia Colosso, i costumi di Eleonora Nascimbeni e il disegno luci di Fiammetta Baldiserri; l'idea di base, in sé ha una sua coerenza ma rischia di forzare taluni ambiti sconfinando addirittura nei toni da cabaret. Lise Lindstrom (Elektra) è interprete di grande calibro, sfoggia un fraseggio curato e una declamazione eccellenti uniti ad una tenuta scenica (quasi due ore sempre in scena) davvero encomiabili. Molto bene anche Soula Parassidis (Crisotemi) e Anna Maria Chiuri (Clitennestra), entrambe dotate di bel timbro e indiscussa capacità scenica ma non completamente a proprio agio nella scrittura straussiana; hanno comunque fornito una prova assolutamente convincente. Thomas Tatzl (Oreste) e Peter Tantsits (Egisto) sono interpreti corretti, così come nelle parti minori Nicolò Donini, Leonardo Cortellazzi e Anna Cimarrusti completano il cast senza particolari bagliori. Il maestro Michael Balke si avvale (per la prima volta in Italia) della versione orchestrale di Richard Dünser che riduce l'organico mastodontico originale adattandolo alle dimensioni di un'orchestra sinfonica ma il risultato è egualmente efficace e, nella buca del Filarmonico, egualmente ridondante. La concertazione di Balke si rivela efficace per ricerca timbrica e di interazione con il palcoscenico grazie ad una prova superlativa dell'orchestra della Fondazione Arena, smagliante per rotondità di suono e forza sinfonica. Bene anche il coro, diretto da Roberto Gabbiani, pur con interventi ridotti e tutti fuori scena. Pubblico numeroso, nonostante la rarità del titolo, che al termine ha tributato applausi generosi soprattutto alle tre protagoniste e al direttore. Con questo titolo la Stagione Lirica si prende una pausa in vista del Festival estivo all'Arena; si tornerà al Filarmonico ad ottobre con Le Villi di Puccini. (Foto Ennevi)
Daniela Malinverno
"La Wally" di Catalani
La Wally di Alfredo Catalani, era assente da Verona da più di un secolo; l’unica rappresentazione, al Filarmonico, risale infatti al 1920. Il capolavoro del lucchese, un affresco sonoro ambientato sulle Alpi tirolesi denso di contrasti emotivi e suggestioni paesaggistiche, si vide schiacciato dalle quasi contemporanee novità teatrali di Mascagni, Leoncavallo e Puccini. Definita opera “tedesca” da Verdi, vanta un formidabile tessuto sinfonico capace di dipingere veri e propri paesaggi sonori, come nei preludi al III e IV atto, anche se dei numeri vocali è rimasta celebre solo l’aria del soprano. L’allestimento del regista Nicola Berloffa è il risultato di una coproduzione tra le fondazioni Teatro di Piacenza, Teatro Comunale Pavarotti – Freni di Modena, Teatro di Reggio Emilia e Teatro del Giglio di Lucca, già andato in scena nel 2017. Il contrasto tra le cime innevate, sfondo rassicurante e ristorativo e gli interni, dove si consumano le azioni, i conflitti e gli intrighi, trovano nelle scene di Fabio Cherstich uno sfondo fortemente evocativo grazie al paesaggio montano realizzato su più piani praticabili che creano sentieri e burroni, all’uso del fumo bianco di alta quota e della immancabile nevicata. I costumi di Valeria Donata Bettella, che posticipano la vicenda di circa un secolo, e le luci di Valerio Tiberi creano suggestivi contrasti tra scenografia e fondale. Sotto il profilo musicale, Eunhee Maggio è apparsa poco adatta al temperamento della protagonista ed in più di qualche momento la sua voce non passava l'orchestra; di poca consistenza la sua Ebben ne andrò lontana. Di ben altro peso l’Hagenbach di Carlo Ventre, dal fraseggio garbato mentre decisamente ottimo Youngjun Park che dipinge un fosco e malvagio Geller. Molto bene Eleonora Bellocci, trasognato Walter dalla bella voce e Gabriele Sagona, severo ed ieratico Stromminger. Negli altri ruoli, positiva prova di Marianna Mappa (Afra) e Romano Dal Zovo (Pedone di Schnals). Il direttore Antonio Pirolli offre una concertazione intensa e timbricamente interessante riuscendo a mettere in evidenza tutti i colori e le tinte di una partitura musicalmente lussureggiante, grazie anche all'ottima Orchestra della Fondazione Arena e alle sue prime parti. Bene anche il coro, guidato da Roberto Gabbiani, sempre preciso e puntuale negli interventi. Vivi consensi di pubblico per uno spettacolo che riporta in auge un grande compositore qual è Alfredo Catalani. Prossimo appuntamento al Filarmonico con Elektra di Richard Strauss che andrà in scena il 16 marzo. (Foto Ennevi)
Daniela Malinverno
"Falstaff" di Salieri
Il Filarmonico celebra i cinquant’anni dalla riapertura agli spettacoli (era rimasto chiuso per tre decenni dopo la devastazione dei bombardamenti alleati su Verona nel 1945) con lo stesso titolo che inaugurò il teatro ricostruito, quel “Falstaff” di Antonio Salieri ispirato alla commedia The Merry Wives of Windsor di Shakespeare, che poco meno di un secolo dopo affascinerà anche Giuseppe Verdi. Le vicende del cavaliere dedito all’arte del mangiar bene e bere molto ma soprattutto ad ordire tresche amorose dalle quali esce sempre e comunque scornato offre a Salieri la possibilità di approfondire i singoli ruoli evidenziandone talvolta anche le sfaccettature più umane e delicate. Caricatura grottesca di Don Giovanni, Sir John viene descritto come un maldestro seduttore, insolente ubriacone, tinozza ambulante, uno sgangherato libertino che viene dapprima beffato, poi punito ed addirittura umiliato pubblicamente. Con la regìa di Paolo Valerio, che firma anche i costumi, le scene di Ezio Antonelli (coadiuvate da videoproiezioni di scorci veneziani, quasi un richiamo alla figura di Giacomo Casanova) e le luci di Claudio Schmid, l’allestimento poteva contare su un ottimo cast vocale. Giulio Mastrototaro, nel ruolo del protagonista sfoggia un bel fraseggio ampio e sonoro, come anche Michele Patti (Slender) dalla vocalità generosa ed agile nei veloci sillabati quanto nel cantabile disteso; Gilda Fiume (Mrs. Ford), caratterialmente forte, dispiega un canto ricco di dinamiche affascinanti e di grade gusto. Da parte sua, Laura Verrecchia (Mrs. Slender) pur non godendo di grandi pagine musicali ha il suo momento clou in Vendetta, sì vendetta proposta molto bene e con brillante senso musicale. Degno di lode anche Marco Ciaponi (Ford) il cui binomio attore e cantante dà grandi risultati scenici convincendo per varietà emotive e suadente vocale. Il resto della compagnia annoverava Romano Dal Zovo, un buon Bardolf ed Eleonora Bellocci (Betty) mentre sul podio c'era il giovane Francesco Ommassini la cui concertazione è stata impeccabilmente funzionale non solo agli equilibri tra buca e palcoscenico ma anche alle esigenze degli interpreti. Brillante, come sempre ultimamente, la prova dell'Orchestra della Fondazione Arena di Verona e del coro preparato da Roberto Gabbiani. Ottima opportunità per riaccogliere Salieri a Verona in occasione del 200° anniversario della morte e dei cinquant'anni di spettacoli lirici al Teatro Filarmonico. (Foto Ennevi)
Daniela Malinverno
"La cenerentola" di Rossini
La Cenerentola di Rossini torna al Filarmonico con la regia di Manu Lalli ideata per il Maggio Musicale Fiorentino. Con qualche richiamo al film di Jean Pierre Ponnelle del 1981, è un bello spettacolo, frizzante quanto basta per poter essere proposto anche a giovani e bambini. Un allestimento teatrale per famiglie, insomma, non fosse altro per il richiamo favolistico del soggetto, tratto dalla fiaba di Perrault anche se nell’opera di Rossini non vi sono topolini e zucche, la fata buona è sostituita dal saggio precettore e filosofo Alidoro, la matrigna lascia il posto a Don Magnifico, barone di Montefiascone e la scarpetta di cristallo diventa un braccialetto. Angelina, questo il nome della sventurata ragazza, è una sognatrice che vive la sua frustrazione in una quotidianità fatta di soprusi ed umiliazioni da parte della sua stessa famiglia, ma alimenta i propri desideri di riscatto attraverso la lettura, passione ereditata dalla madre defunta. Alla fine trionferà l’amore, basato sulla purezza del sentimento e non sull’interesse economico e l’ascesa sociale: non vi sono magìe e prodigi ma il trionfo della bontà (il sottotitolo dell’opera è proprio La bontà in trionfo), come avviene alla fine quando la ragazza ormai fatta principessa perdona il patrigno e le sorellastre riconoscendoli come parte della sua stessa famiglia. Un impianto registico basato quindi sulla tradizione, presente anche nelle scene di Roberta Lazzeri, nei costumi di Gianna Poli e nelle luci di Vincenzo Apicella. Nel ruolo della protagonista Maria Kataeva sfoggia un bel colore di voce, corposo negli acuti e anche nel registro medio e grave coronando la sua prestazione con un rondò finale pirotecnico provocando un caloroso applauso che ha coperto la coda orchestrale. Al suo fianco il Don Ramiro di Pietro Adaini presenta una linea cantabile inizialmente prudente ma poi nel corso della recita restituisce al suo personaggio tutta la fierezza aristocratica. Carlo Lepore è un magnifico (mi si passi il gioco di parole) Don Magnifico confermando la sua seconda pelle rossiniana per bravura, bellezza di timbro vocale, indiscussa tenuta di scena e disinvoltura attoriale. Il cameriere Dandini, interpretato da Alessandro Luongo, regge bene la nobiltà presa a prestito per lo scambio di ruolo con Don Ramiro, sfoggiando un bel fraseggio nella cavatina Come un’ape ne’ giorni d’aprile. Matteo D’Apolito (che sostituiva Gabriele Sagona) è un Alidoro dalla conclamata fierezza intellettuale e nobiltà vocale mentre le due terribili sorellastre erano rispettivamente Daniela Cappiello (Clorinda) e Valeria Girardello (Tisbe), entrambe perfettamente calate nelle loro parti. La brillante e dinamica direzione di Francesco Lanzillotta restituisce a Rossini tutta la verve della sua scrittura, assecondata da un’ottima orchestra della Fondazione Arena: i tempi scelti sono adeguati, rispettosi dei cantanti e corretti nei concertati. Non da meno il coro, diretto da Roberto Gabbiani, preciso ed efficace nei suoi interventi. Pubblico numeroso e prodigo di applausi, soprattutto all’indirizzo della Kataeva. (Foto Ennevi)
Daniela Malinverno
"Stiffelio" di Verdi
Dopo il Festival estivo all’Arena, la programmazione lirica della fondazione veronese torna al Filarmonico con un’interessante proposta: Stiffelio, opera minore per successo e fama ma pur sempre lavoro interessante nel panorama lirico verdiano. Il soggetto, contemporaneo per l’epoca, è di fatto debole e di scarsa forza drammaturgica non presentando quello scavo psicologico ed introspettivo che caratterizza il teatro di Verdi ma è tuttavia bilanciato da una creazione musicale che si stacca dagli stereotipi precedenti per affacciarsi alla maturità verdiana con la celebre Trilogia popolare che vedrà la luce a partire dall’anno seguente. L’allestimento è del 2012, a firma di Guy Montavon che ne disegna anche le luci, dato al Regio di Parma ed in seguito esportato all’Opera di Montecarlo. Lo spettacolo non stravolge il dramma originale mantenendosi sostanzialmente rispettoso di epoca e didascalie e trova conforto nelle scene e costumi di Francesco Calcagnini che punta tutto sulla tonalità di grigio sottolineante l’ambiente ieratico della comunità religiosa protestante, fatta eccezione per i due amanti fedifraghi (il rosso di Raffaele ed il bianco virginale di Lina alla fine). Nel ruolo del titolo Stefano Secco presenta un uomo ferito nell’intimo più che nell’onore ma deve lottare con la sua condizione di pastore protestante e guida della comunità; la voce è bella e rende piena testimonianza alla fulgida carriera pluridecennale del tenore. Al suo fianco Daniela Schillaci è una Lina anch’essa in preda ad una lotta interiore, anche se la sua parte non regge il confronto con gli altri ruoli sopranili verdiani; di vocalità generosa, anche se contraddistinta da suoni aspri, la sua prova è stata efficace, anche sotto il profilo scenico ed interpretativo. Stupendo lo Stankar di Vladimir Stoyanov, che disegna un padre cupo ed ossessionato dallo spettro dell’onta e del disonore: magnifica la scena del terzo atto, resa con voce squillante e convinta pregnanza attoriale. Carlo Raffaelli (Raffaele), Gabriele Sagona (Jorg), Francesco Pittari e Sara Rossini (Federico e Dorotea), completavano dignitosamente il cast. A tenere le fila della partitura verdiana vi era il giovane Leonardo Sini che ha impresso forza narrativa e fraseggio impeccabile ottenendo dall’Orchestra della Fondazione Arena una variegata ed articolata tavolozza timbrica e bellezza di suono, soprattutto nella sinfonia. Ottimo anche il coro, diretto da Roberto Gabbiani, preciso e puntuale negli interventi. Pubblico scarso, dovuto forse al turno di martedì ma sempre prodigo di applausi. (Foto Ennevi)
Daniela Malinverno
Alla vigilia della Festa della Donna, interessante incontro sull'universo femminile di Giacomo Puccini, un viaggio attraverso la psicologia delle eroine pucciniane e del loro essere donna, attraverso l'affermazione e la rivendicazione del diritto di amare, senza riserve né compromessi. La serata, organizzata dal Centro Studi Musicali Verona, era presentata dal moderatore Giorgio Giunta che ha introdotto, dopo aver sottolineato la difficoltà di essere donna ancora oggi in tema di pregiudizi e fatti tragici che la cronaca ci consegna con sempre maggior frequenza, gli ospiti presenti. Per primo, l'intervento del maestro Gian Paolo Dal Dosso, docente di canto, direttore di coro e collaboratore del magazine online GBOpera, il quale ha evidenziato le diverse caratteristiche amorose delle donne di Puccini: dall'amore lascivo di Musetta, a quello crudelmente soffocato di Suor Angelica, per passare alla disillusione di Cio Cio San e la purezza sublimata dal martirio di Liù, fino all'amore disperato di Tosca e quello apparentemente ingenuo di Mimì. Il tutto coadiuvato da efficaci esempi al pianoforte, nei quali il maestro Dal Dosso ha anche spiegato alcune scelte armoniche e tonali di Puccini. A seguire, l'intervento del dott. Massimo Castellani, consulente sessuale della relazione affettiva, che ha focalizzato l'attenzione sulle figure femminili determinanti nella vita del compositore lucchese, a partire dal profondo legame che lo univa alla madre Albina Magi, l'affetto per le quattro sorelle (delle quali una monaca), e il rapporto controverso per la moglie Elvira Bonturi, tra continui sospetti e gelosie. Sì, perché Puccini ebbe anche delle sbandate che lo portarono ad intrecciare alcune relazioni amorose. Una gelosia tossica, che condurrà anche alla tragica fine della cameriera di casa Puccini, la giovane Doria Manfredi, vittima innocente che ispirerà anni dopo la dolce Liù in "Turandot". E' stata poi la volta di Nicoleta Dumitrascu, titolare dell'atelier Romeo e Giulietta, che ha presentato due abiti nuziali ispirati alla moda di fine ottocento per poi parlare della sua infanzia nella Romania comunista di Ceausescu e della sua esperienza di imprenditrice in Italia. Molte le domande da parte di un pubblico attento ed appassionato, a sigillo di una serata oltremodo positiva.
Daniela Malinverno